NOTIZIE

Legend of the Fist - La nostra recensione

Andrew Lau riporta in scena Chen, a quasi quarant'anni dal classico "Dalla Cina con furore", e fonde il mito di Bruce Lee con la storia della Cina nel primo dopoguerra.

Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen

02.09.2010 - Autore: Marco Triolo, nostro inviato al Festival di Venezia
L'altro film d'apertura di Venezia 67, dopo “Black Swan”, è un titolo che di sicuro rientra nei gusti del presidente della giuria Quentin Tarantino: un film di arti marziali diretto dal regista di “Infernal Affairs”, Andrew Lau, che si pone come un diretto sequel di “Dalla Cina con furore”, il classico di Bruce Lee.

Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen” riprende le vicende di Chen, che alla fine del primo capitolo si lanciava contro le forze di polizia giapponesi, verso morte certa. Salta fuori che non è morto, ma, dopo aver combattuto a fianco dei francesi durante la prima guerra mondiale, è tornato a Shanghai e ha preso parte al movimento di resistenza contro l'invasore nipponico. Per fare ciò, Chen (stavolta interpretato da quello che è anche il coreografo del film, Donnie Yen) si fa amico un boss delle Triadi (Anthony Wong) che gestisce un nightclub. Lì si innamora della bella prima donna del club e assume l'identità segreta di Cavaliere Nero, per raddrizzare i torti a suon di kung-fu.

L'opera di Andrew Lau, al di là del divertimento che scaturisce da una serie di sequenze marziali ben dirette e coreografate, è incredibilmente ambiziosa: si tratta di un mix tra l'action movie alla Bruce Lee e il film epico-storico. L'intento è chiaro: raccontare il preambolo alla nascita della Cina moderna legandolo alla storia di una delle sue figure più iconiche in assoluto. Chen Zhen è il simbolo dello spirito cinese, della forza interiore e della determinazione di un intero popolo. Lau imbastisce una sorta di storia visiva dell'icona Lee: Chen per combattere il male si traveste, novello supereroe, con il costume di Kato, l'assistente del Calabrone Verde che fu per Bruce in primo ruolo televisivo. E chiude il cerchio ambientando l'immancabile duello finale in un dojo di karate, esattamente come il prototipo. Lì, finalmente, Donnie Yen indossa la mitica casacca bianca e si prodiga in una serie di “watah!” in pieno stile Lee.

Legend of the Fist” rappresenta un tentativo affascinante di dare un'alternativa “alta” al classico cinema di arti marziali. E' forse un po' lungo, e non privo di alcune ingenuità, ma ha aperto una strada che si spera sarà battuta da altri, magari anche con più successo. Di sicuro è consigliabile ai fan del genere. Una curiosità: Yen aveva già interpretato Chen in una serie televisiva cinese, che negli ultimi episodi ricalcava la trama di “Dalla Cina con furore”. Jet Li invece aveva incarnato il personaggio in “Fist of Legend”: “Legend of the Fist” rappresenta dunque il terzo capitolo di una trilogia ideale, anche se si ricollega direttamente al primo.