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Le nove anime di Carlo Verdone

Il regista commosso e pieno di orgoglio presenta il documentario diretto da Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni

Carlo Verdone

10.11.2012 - Autore: Pierpaolo Festa
Carlo!”. Un urlo popolare che continua a sentirsi dal momento in cui ci si ritrova davanti a Carlo Verdone fino a quando lui si allontana a cento metri di distanza. S’intitola così il documentario diretto da Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni presentato fuori concorso nella sezione Prospettive Italia al Festival di Roma 2012 e presto in uscita in Home Video e in onda sulla Rai.

Carlo Verdone incontro Festival di Roma documentario Carlo - Verdone a Roma con Ferzetti e Giagni

Un eroe del popolo, “l’uomo capace di mantenere un colloquio con il pubblico per tre decadi”, viene appellato così Verdone davanti alla platea di giornalisti all’auditorium. E anche lui, sottolineando immediatamente il bisogno di non fare “un documentario celebrativo” inizia a parlare in terza persona a proposito di “un documentario su un uomo che ama la gente e che ha questo dono di avere più di un'anima. Ritengo di avere vari colori, la malinconia e allo stesso tempo l'ironia feroce. Per questo è molto difficile dare una connotazione alla mia commedia. Sono orgoglioso e commosso da questo ritratto sincero, autentico, vero”.

Verdone parla della fortuna che lo ha lanciato prima nei locali a Roma e poi come attore; di quelle centocinquantamila lire pagate per poter salire sui palchi e di quella volta che l’amico Sergio Leone lo notò in TV durante uno zapping notturno. “La fortuna più grande è di aver avuto una famiglia che mi ha dato la spinta verso la frequentazione di tutti. Mio padre era molto ironico e molto severo, mia madre era una vera romana: mi incoraggiavano a conoscere il mio quartiere e notare certi difetti che facevano ridere”.



E ricorda anche il momento della sua virata verso una commedia più matura e malinconica con Compagni di scuola, forse il suo film più nero: “Era tetro – ricorda – Ebbi tanta paura quando uscì nei cinema, fui criticato dagli sceneggiatori e messo in guardia da Freccero che mi diceva che portavo dietro un'eredità troppo popolare per un film così buio. Quella è stata la mia prima commedia d'autore. Un film che mi rende orgoglioso. L’inizio di un vero mosaico creativo. Gallo Cedrone anticipava la mitomania di oggi, Viaggi di Nozze era una piccola lezione sociologica su un periodo molto particolare”. Il suo film più coraggioso? “Perdiamoci di vista. Cecchi Gori non voleva fare un film su una ragazza sulla sedia a rotelle: lo trovava ‘non popolare’. Secondo lui avrebbe allontanato la gente dalle sale. Mi intestardii di più. Ecco un’altra mia caratteristica: ho sempre combattuto nella mia vita per affermare quello che volevo fare. Certamente ho fatto film minori, è impossibile mantenere sempre lo stesso livello. Ho cercato di essere autore, ma ho pensato sempre un po’ al pubblico. E’ inevitabile quando fai commedia”.

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