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In un mondo migliore - La nostra recensione

Susanne Bier realizza una complessa riflessione sulla violenza e sulle presunzioni di un Occidente pieno di problemi e contraddizioni. Il risultato è elegante e potente ma soffre qualche sbavatura

In a better world - recensione

10.01.2011 - Autore: Ludovica Sanfelice
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All’Occidente piace immaginarsi come un modello di civilizzazione da esportare, ama vedersi come un mondo migliore a cui aspirare, ma Susanne Bier si prende la briga di dissentire o per lo meno insinuare il dubbio, di alzare la mano e chiedere conto delle contraddizioni che la nostra società produce, o meglio ancora che la nostra natura contempla, azzardando l’accostamento tra un conflitto tribale africano e un episodio di bullismo in Danimarca.

In un mondo migliore

Si aprono così le porte di un melodramma morale che perlustra diverse forme di violenza e che si interroga sulla possibilità di ristabilire l’ordine del civismo sul caos, sull’ignoranza, sulle offese gratuite, sulle prevaricazioni quotidiane, le prepotenze, sulle ferite inflitte anche involontariamente, su quelle procurate per debolezza, sulla paura, la rabbia, la perdita. Purtroppo l’educazione ha un ruolo importantissimo ma parziale se gli stimoli che arrivano da tutte le parti viaggiano in direzione contraria. Non possiamo davvero illuderci di essere immuni a questo caos, come se sul mondo si potesse esercitare qualche forma di dominio; non possiamo credere di escludere noi e i nostri figli dalle imprudenze o dal contatto con un universo che, anche dietro la placida eleganza di una ricca cittadina nordica, sa spalancare abissi di inquietante brutalità. E non dobbiamo tuttavia mai smettere di provarci.

In un mondo migliore

Un padre medico idealista presta servizio come missionario in un campo africano. In Danimarca ha un matrimonio in crisi e due figli. Il più grande subisce le angherie dei bulletti della scuola. Un altro padre soffre la perdita della compagna e non riesce a scavalcare l’alienazione del proprio dolore per confrontarsi con quello del figlio pieno di rabbia. I due ragazzini si incontrano e stringono un drammatico legame che traduce il disagio in una sperimentazione sventata sulla violenza.

Susanne Bier

Susanne Bier ci accompagna in questo complesso quadro di disfunzioni familiari tessendo una tela ricca di tensione e ambiguità che però cede in un paio di momenti (l’inizio e soprattutto la fine) a qualche scivolone nell’eccesso e nell’equivocità. Il film è oggettivamente ambizioso, ma riesce a muoversi con disinvoltura, coraggio e volontà nelle pieghe di caratterizzazioni articolate e sempre molto dense grazie anche al sostegno di un cast robustissimo. La regia è elegante e coinvolgente e conferma il talento della Bier nel navigare con sensibilità tra le insidie di storie corali difficili che fanno riflettere e sondano zone profonde e universali.

Non stupisce quindi che la Danimarca abbia scelto "In un mondo migliore" per la sua personale corsa agli Oscar. E non sorprenderebbe neanche la sua ammissione nella cinquina finale.

La pellicola è distribuita nelle sale dalla Teodora Film