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"Il ritorno" di Andrey Zvyagintsev

Le sensazioni in cui si rimane invischiati sono forti, controverse, contraddittorie. I tentativi di spiegazione si sovrappongono e si oscurano vicendevolmente. Restano un'ansia penetrante, a tratti soffocante, e una voglia di liberazione immaginifica.

Il ritorno di A. Zvyagintsev

08.09.2003 - Autore: Leonardo Godano e Matteo Nucci
Se il cinema è soprattutto immagini e trame che si dissolvono in immagini, domande le cui risposte si perdono nelle domande stesse, mentre quelle domande affondano di nuovo nelle immagini, se il cinema è questo, anche questo, soprattutto questo, ben venga allora il Leone d'Oro assegnato ad Andrei Zvyagintsev per il suo film "Il ritorno". Opera prima che ha subito fatto parlare di capolavoro, "Il ritorno" è un film difficile, girato con estrema maestria e infinita attenzione per ogni minimo particolare, in cui s'intrecciano suggestioni firmate Tarkovskij e Antonioni, nonché citazioni colte, come quella raffinata del Cristo del Mantenga. Si potrebbe pensare a un film elitario, destinato a pochi eletti. E invece la reazione del pubblico a Venezia in sala Grande è stata di unanime consenso e apprezzamento - con il pubblico in piedi ad applaudire per più di dieci minuti.   La storia potrebbe anche non essere raccontata, tanto evanescente essa appare in confronto al non detto cui rimanda, con progressiva accelerazione, il lento sovrapporsi delle immagini. Due fratelli in una Russia al limite della estraniazione spazio temporale. La loro vita viene sconvolta dall'arrivo di un padre mai conosciuto, immaginato più che ricordato attraverso una foto vecchia di più di dieci anni. Le domande impietose sgorgano già senza possibilità di eluderle. È davvero il padre, quest'uomo un po' dolce un po' burbero (Konstantin Lavronenko)? E perché sarebbe arrivato solo ora? Le risposte dovrebbero arrivare attraverso il viaggio cui l'uomo spinge i figli in una sorta di simbolico percorso di ricerca. E invece arrivano ineluttabili altre domande, anch'esse ancora una volta insolubili.   Attraverso la bellezza selvaggia di boschi, laghi e paesaggi che sembrano estranei all'orizzonte umano, i due ragazzi entrano in contatto con un uomo che pare trasportato da un'inesauribile desiderio. Di conoscenza? Di riconoscenza? Il piccolo Andrei (Vladimir Garin, drammaticamente scomparso al termine delle riprese) si lega sempre più al padre, mentre Ivan (Ivan Dobronravov) resta sospettoso, ostile. Intanto il viaggio diventa sempre più pericoloso e l'isola da raggiungere sembra celare un segreto capace di risolvere qualsiasi inquieto interrogativo. Le sensazioni in cui si rimane invischiati sono forti, controverse, contraddittorie. I tentativi di spiegazione si sovrappongono e si oscurano vicendevolmente. Restano un'ansia penetrante, a tratti soffocante, e una voglia di liberazione immaginifica. Solo le immagini infatti raccolgono una speranza di senso al di là di qualsiasi possibile tentazione interpretativa simbolica o metaforica. Il ritorno al cinema è compiuto.