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Dieci

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Dieci

12.04.2007 - Autore: Ludovica Rampoldi
Prendete un film, e toglieteci regia, messinscena, scenografia e paesaggi. Quello che vi rimane è qualcosa di molto simile a Dieci, dodicesimo lungometraggio di Abbas Kiarostami, presentato in concorso allultima edizione del Festival di Cannes.   Un film girato interamente allinterno di un automobile, dove personaggi e dialoghi sono ripresi dallocchio leggero e discreto di una telecamera digitale portatile. Il mezzo meno invasivo che il cinema conosca, capace di registrare emozioni e sfumature con il massimo livello di realtà. Una sperimentazione in cui il regista iraniano abbandona tutti gli elementi indispensabili del cinema attuale allinsegna del minimalismo e della semplicità che ricorda Close Up, per il gioco di continui rimandi tra finzione e realtà.   A metà tra la fiction e il documentario, Dieci racconta in dieci sequenze la storia di sei donne, seguendole per le vie trafficate della caotica Teheran. Quello di Kiarostami è un viaggio nellIran contemporaneo e nella situazione femminile, contorta come le strade della metropoli, dove si rischia sempre di perdersi, di smarrire la strada. Nel mondo di Kiarostami gli uomini sono totalmente estromessi: con leccezione di un bambino, rimangono creature sullo sfondo, evocate solo dalle parole delle protagoniste. Perché se il mondo è loro, se sono gli uomini a decidere ancora oggi sorti e destini delle donne iraniane, lunica via possibile -sembra suggerire Kiarostami- sta nel mettere a nudo le proprie emozioni, sbarazzarsi dei propri fantasmi, e fare quadrato intorno alla solidarietà femminile.   Una madre divorziata, una prostituta, una vecchia devota, una donna che aspetta invano il matrimonio, una donna lasciata dal suo amore: queste le figure che popolano lautomobile errante per le strade di Teheran. Le donne di Kiarostami parlano di amore, di sesso, di aborto, di religione, e sono straordinariamente consapevoli della necessità di un riscatto. Relegate ai margini della società, camuffate sotto chador e hejab, le donne iraniane cercano la via dellemancipazione dalla società degli uomini. Il segreto è non attaccarsi mai, dicono: agli uomini come alla religione. Siamo nati per perdere le cose, dice la protagonista, tanto vale non fare drammi. E tra le emozioni in presa diretta riportate da Kiarostami, cè posto anche per un impeto finale di ribellione, che prefigura coraggio e ottimismo per il futuro delle donne iraniane. Così, la ragazza piantata prima del matrimonio potrà ostentare al santuario una testa rasata. E presentarsi senza velo, finalmente, e senza vergogna.  
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