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Alexander Payne, le Palme del Nebraska

Il regista di Sideways e Paradiso amaro racconta il film applaudito a Cannes e ci lascia con la promessa di un progetto inusuale

Alexander Payne, le Palme del Nebraska

23.05.2013 - Autore: Mattia Pasquini, da Cannes
Gli applausi convinti della sala e i commenti della stampa internazionale lo inseriscono di diritto nel novero dei candidati palmabili. Prima di lui sono passati quindici film, negli ultimi due giorni ne vedremo altri quattro, ma il Nebraska di Alexander Payne – per quanto ci riguarda – chiude già il Festival di Cannes 2013.
I Coen e Kechiche  hanno convinto e innamorato, mancano ancora Jarmush e Polanski ed è già accaduto che la giuria concedesse i propri favori (e la Palma) a un film più ‘fresco’ perché visto alla fine della manifestazione, ma ci piacerebbe che Spielberg chiamasse un altro grande narratore sul palco con lui nella serata di premiazione.

È “la storia di un uomo che tende a credere a quello che gli si dice”, uno “stupido come me”, dice il protagonista Bruce Dern: una carriera ricca di film (da Corman a Rafelson, da Hitchcock a Elia Kazan, da Walter Hill a Coppola... e il ruolo di Tom Buchanan nel Grande Gatsby del 1974) e un grande amore sbocciato con Payne, e dichiarato: “Il mio ruolo è stato fidarmi di lui, ma con lui ogni giorno sei eccitato perché lui potrebbe fare qualcosa che non è mai stato fatto”.

Uomini generosi, come il Woody Grant stanco e appesantito da un passato di poche gratificazioni e un presente senza prospettive, illuminato da un ingenuo palliativo. Un espediente narrativo, per raccontare il tentativo di un figlio di rendere dignità al proprio anziano padre. “È stato qualcosa di molto personale per me, perché sento lo stesso per i miei genitori, voglio che invecchino dignitosamente”, ha confessato il regista, grato ai suoi attori per aver creduto in lui e avergli donato “il regalo più grande che un attore possa fare a un regista”, creando così un rapporto molto “intimo” tra loro e una “splendida comunione”, che è ciò che in definitiva ha dichiarato di cercare sul set.

Un aiuto importante l’ha dato il direttore del casting, che ha saputo “creare una famiglia” come hanno detto i diretti interessati. Per una volta non tanto lontani dal vero. Bruce Dern, Will Forte e la suddetta Squibb sono i Grant sullo schermo, ma sono anche i volti giusti per un film che punta molto sulle immagini. In bianco e nero. “Sembrava semplicemente la scelta giusta da fare per questo film, l’avevo immaginato così dall’inizio”, spiega Payne, “una storia così modesta sembrava condurre naturalmente a questa forma, che trovo bellissima, e inoltre sembra adattarsi perfettamente ai personaggi del film”.
Un lungo studio e una lunga ricerca dietro a questo ritorno al Festival di Cannes “dopo undici anni”, con uno “script ricevuto nove anni fa che mi ha colpito perché divertente e melanconico insieme, come la vita”.

Una lunga attesa, per noi, condizionata anche dal fortunato Sideways. “Allora stavo lavorando su quel film, ma ero stanco di girare nelle automobili”. Ora speriamo che ci tocchi aspettare meno per scoprire il progetto di un film di fantascienza alla base del lungo tempo intercorso tra Sideways (2004) e Paradiso amaro (2011) e per il quale sembra stesse cercando location in Norvegia... il “riprenderemo quello script, è una possibilità per il futuro” con cui si conclude l’incontro lascia più che una speranza nei suoi fan.


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