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Venezia 66: I Love Zombies!

In concorso alla Mostra di Venezia, "Survival of the Dead" è il nuovo film diretto da George Romero, che ritorna alle origini dell'epidemia. Abbiamo incontrato il regista, che è certo di una sola cosa: non intende abbandonare i suoi zombie.

George Romero

09.09.2009 - Autore: Pierpaolo Festa
Venezia - Sotto le note di un banjo, a ritmo di musica country, i non morti vengono fatti pascolare dai terribili proprietari terrieri che hanno imparato a trattarli da schiavi: da una donna che si occupa dei piatti in cucina, ai bambini zombie incatenati alle loro culle, al postino, al taglialegna, fino ad una bellissima ragazza non-morta in sella ad un cavallo e lasciata libera per le campagne.

Survival of the Dead” (Lett: La sopravvivenza dei morti) è il nuovo film di George Romero presentato in Concorso alla 66sima Mostra del Cinema. Abbiamo incontrato il celebre regista, un omone alto almeno uno e novanta e sempre disponibile e pronto a dichiarare il grande amore per “i suoi zombie”.  “Non mi stancherò mai di loro – racconta Romero - tendo invece a stancarmi immediatamente dei produttori. Ho sempre moltissime idee per nuovi film sugli zombie. Purtroppo, tutto è oggi legato all’aspetto commerciale. Quindi se il film avrà successo, aspettatevene altri”.

Potremmo definire il film “un western con gli zombie”, ma il regista è più preciso: “C’è sicuramente una certa affinità col western, ma quelli sono allegorici e parlano della sopravvivenza dell’individuo; mentre i film sugli zombie sono più realistici e legati ad un messaggio politico. Ma io non ho fatto un film sull’Iraq e sui problemi del governo americano, piuttosto continuo a realizzare film sull’incapacità dell’uomo di dimenticare i suoi nemici”.

Come mai ha ambientato il film in un paesaggio di campagna e inserito brani musicali country. Lei è un fan della musica country?
Non mi piace proprio il country. Non lo ascolto. Però dato che questi personaggi non mi piacevano affatto, ho pensato che quella era la musica che dovevano ascoltare.

In dieci anni ha girato tre film sugli zombie. Ci parli di questa scelta di cavalcare ancora  questo suo marchio di fabbrica…
I primi quattro film che ho girato seguono un filo conduttore: dall'apocalisse degli zombie a quello che succede dopo. Invece, con “Diary of the Dead” sono tornato a quella prima notte, all'esplosione dell'epidemia. Quindi gli ultimi due film che ho girato si collocano nello stesso universo narrativo del primo film.

Eppure ci sono tanti altri film sugli zombie. Qui al Festival di Venezia ce ne sono stati addirittura tre. Crede di aver lasciato una grande eredità?
Sì, è vero. Ma non sono stati i miei film sugli zombie a mantenere in vita questo tipo di pellicole, piuttosto sono stati i videogiochi. Tempo fa mi avevano perfino proposto la regia di “Resident Evil” ma, alla fine, ci sono stati dei problemi con la produzione.

E quindi ha studiato quel videogioco?
Sì, ma vorrei precisare che non ho mai toccato il joypad. Io odio i videogiochi. Meno male che c’era il mio assistente che continuava a giocare.

Al cinema gli zombie si sono evoluti. Ormai non camminano più, ma corrono e assaltano come predatori. Lei è contrario a questa evoluzione?
Questi sono i miei zombie. E io li ho sempre mostrati in questo modo. E’ stato Zack Snyder a velocizzarli nel suo “L’alba dei morti viventi”, ma non mi piace vederli correre. Faccio come ho sempre fatto e lo adoro perché ne vedete un piccolo gruppo e, a poco a poco, aumentano sempre di più e continuano ad arrivare.

I suoi film sono sempre lo specchio dei nostri tempi, come mai i suoi zombie hanno questo potere?
Ricordo ancora quando mi è venuta l’idea: li ho immaginati nel bel mezzo di una notte. Volevo creare qualcosa che potesse cambiare il mondo ed è stata un’idea che mi è venuta di getto. E per quanto riguarda i richiami politici… siamo tutti figli degli anni ’60 e della loro delusione. E siamo ancora tanto arrabbiati!

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