

Di nuovo in gioco


Clint Eastwood aveva scelto con grande saggezza di dire addio alla recitazione con Gran Torino:
si era ritagliato con cura un bel ruolo in un grande film, chiudendo i
conti con la violenza dei vari Callaghan e lasciando spazio alle nuove
generazioni. Un'uscita di scena spettacolare a cui avrebbe fatto meglio a
tenere fede.
Perché Di nuovo in gioco – titolo italiano ammiccante di Trouble with the Curve – è tutto tranne che un film memorabile. Clint si è fatto intenerire da Robert Lorenz, suo vecchio socio a Malpaso e assistente alla regia dai tempi de I ponti di Madison County,
che per il suo esordio alla regia lo ha convinto a “tornare in campo”,
tanto per proseguire con le ovvie metafore sportive. Il risultato è una commedia che vorrebbe riproporre una serie di topoi della filmografia eastwoodiana – il confronto con l'invecchiamento, il passaggio di testimone ai
giovani, l'America che cambia – ma che si assesta su un livello di
banale mediocrità ed è scritta davvero male.
Il film parte anche piuttosto bene: il passo è leggero e ben cadenzato, gli attori sono tutti in parte (Amy Adams è una conferma, John Goodman un gigante) e Clint fa Clint ma è sempre un piacere guardarlo. Nessuno è in grado di interpretare il burbero dal cuore tenero come lui, e vederlo masticare un sigaro come nei film di Sergio Leone provoca un tuffo al cuore. In più, il film si apre con una panoramica
su vecchie fotografie del giovane Eastwood e ricorda in parte la
carrellata di foto segnaletiche di Stallone in Bullet to the Head di Walter Hill (recensione): c'è insomma la consapevolezza di avere di fronte una leggenda vivente e la volontà di rendergli omaggio. Ma non basta.
Non basta perché, quando il focus del film diventa una noiosa e
stravista storia d'amore tra la figlia del protagonista (Adams) e un
talent scout rivale (Justin Timberlake), vuol dire che Di nuovo in gioco ha perso il filo del discorso. Il rapporto padre e figlia resta in superficie e quando tenta di andare a fondo lo fa nella maniera più impacciata possibile,
tramite un flashback che ha del ridicolo (anche se fa buon uso di
immagini del Clint anni Settanta). Il finale è improbabile, ma riesce a
strappare qualche sorriso, grazie alla verve del protagonista e alla
bravura degli attori. Il resto è dimenticabile, purtroppo. Ora non resta
che sperare che Eastwood torni davanti alla macchina da presa ancora
una volta, per non lasciarci con l'amaro in bocca.
Di Marco Triolo