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American Dreamz

Torna Paul Weitz con una nuova disarmante commedia che prende di mira la società americana. E la afferra per il suo più leggendario vezzo, l'American Dream, frantumato e sparso nel caleidoscopio televisivo

American Dreamz

19.05.2009 - Autore: M.S.
American dreamz è il reality show più amato dal pubblico americano. La formula è sempre la stessa: “dilettanti allo sbaraglio”, con aspiranti star che si cimentano ad esibire il loro talento, disposti a tutto pur di vincere la gara televisiva.

Ed ogni settimana il pubblico è incollato allo schermo, non ne ha mai abbastanza . Anzi sembra sviluppare dipendenza. Inizia invece ad essere  stanco il cinico e volgare conduttore Martin Knees (Hugh Grant). Schiacciato dalla noia e affamato di spettacolarità, Martin programma una nuova edizione davvero straordinaria. Il gran finale dovrà avere come presidente della giuria niente meno che il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Ruoli perfettamente compatibili, soprattutto perché il Presidente è un Dannis Quaid apatico, del tutto disinteressato alle sorti della nazione. Non riesce neanche a leggere i giornali.  Così ogni volta che deve parlare in pubblico è il Segretario di Stato, Willem Dafoe, a suggerirgli in un radiomicrofono impiantato nell’orecchio le parole più opportune. Il presidente accetta, è una buona occasione per rimediare alla crisi di consensi.

Ma è una occasione ancora migliore per il terrorismo internazionale. Così quando Omer, iracheno un po’ svanito e appassionato di Broadway, viene casualmente selezionato per partecipare allo show, decidono di affidargli il ruolo di eroico vendicatore della sofferenza del suo popolo.

Dovrà arrivare in finale per farsi saltare in aria in prima serata. Neanche Martin Knees avrebbe potuto immaginare di meglio!

Ma Omer deve fare i conti con Sally, provinciale arrivista incalzata da una madre manager ossessiva. Sally ha una carta in più per vincere: un fidanzato reduce dalla guerra in Iraq, bonaccione eroe nazionale (Chris Klein, già in American Pie) che aggiunge il giusto tocco di romanticismo e commozione.

Il mondo intero è confezionato come un reality show, pronto al consumo di paradossi e frustrazioni del ceto medio americano, infarcito di cultura popolare e sogni preconfezionati.

Così dopo il sesso in American Pie, le multinazionali in “In good company”, Weisz gioca con un altro grande luogo comune del sogno americano: il calderone televisivo  e la sua demenzialità, che tutto fagocita e livella, svuota di significato. Facile sguazzarci dentro senza aggiungerne alcuno, pericoloso livellare ancora tutto ad una facile risata.