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Addio a Richard Harris, "l' uomo chiamato cavallo"

Con lui si chiude una grande stagione per le stelle del cinema degli anni '60.

Richard Harris

14.04.2003 - Autore: Claudia Panichi
Si è spento il 27 ottobre a Londra Richard Harris, all'anagrafe SaintJohn Garris, il grande attore irlandese catturato da Hollywood, lasciando un grandissimo vuoto tra gli appassionati di cinema che lo ricorderanno sicuramente per le sue difficili e a volte controverse interpretazioni. Aveva 72 anni e dallo scorso agosto gli era stato diagnosticato il morbo di Hodgkin, contro cui non c'è stato nulla da fare.   Attore di indiscusso talento, il suo nome rimarrà per sempre nella storia del cinema per la sua vigorosa interpretazione nell'anomalo film western "Un uomo chiamato cavallo" del '70, che segnò il successo internazionale di Harris. Da quel momento in poi, stampa e pubblico iniziarono a identificarlo con il personaggio di questo film . La carrriera del divo, noto per i suoi modi rudi e diretti, fu costellata di successi e lavori anche a volte differenti tra loro, per film e interpretazioni spesso all'opposto, ma animate sempre da una grande devozione per la verità ed impegno anticonformista.   Poco gli importava del glamour e dei bagliori che circondano il mondo del cinema e assieme ad altri due grandi esponenti di punta, Richard Burton e Peter O' Toole, formavano una triade perfetta di artisti provenienti dalle grandi scuole d'oltre Manica. Li accomunava, oltre la stessa matrice, una medesima visione della vita. Mai si sono titati indietro davanti alle innumerevoli tentazioni che gli si presentavano, sostenendo che la vita va vissuta fino in fondo e senza minimamente risparmiarsi. Un ritratto quello di Harris che può sembrare di un uomo perso nella dissolutezza, ma lui si è sempre riuscito a distinguere per la fermezza del suo carattere e per oculate scelte professionali.   Capace di uscire per andare a comprare le sigarette e di sparire poi per almeno una settimana, l'attore sosteneva che, se voleva bere vodka, dovevano essere almeno 2 bottiglie; che se si trattava di amare una donna, allora voleva farlo per l'intera notte. Infatti amava ripetere: "Ho recitato in 72 film e soltanto in 2 occasioni mi è stato assegnato il ruolo per cui non ero tagliatoquello di marito".   La sua prima vera occasione fu ne "I cannoni di Navarone" accanto ad altri tre re indiscussi dell'epoca, ossia David Niven, Gregory Peck e Antony Queen. Poi "Gli Ammutinati del Bounty" e "Io sono un campione", il film che gli valse la palma d'oro a Cannes e una nomination all'Oscar. Nel 1964 è il diavolo tentatore di Monica Vitti in "Deserto Rosso" di M. Antonioni. Ma è la parte del gentiluomo inglese catturato dai pellerossa ne "Un uomo chiamato cavallo" quella che lo farà entrare nell'immaginario collettivo come divo internazionale, mentre i più piccoli lo potranno ricordare per il ruolo del burbero e saggio professor Albus Dumblemore in "Harry Potter".   Aveva aperto il nuovo millennio con l'intensa interpretazione di Marco Aurelio ne "Il Gladiatore", proseguendo con "Il Conte di Montecristo", sua ultima fatica. Ognuno lo potrà ricordare come preferisce, ma una cosa è certa: con lui si chiude una grande stagione per le stelle del cinema britannico.