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The Zero Theorem - La nostra recensione

Terry Gilliam torna dalle parti di Brazil per raccontare un futuro colorato e opprimente

The Zero Theorem

The Zero Theorem

07.07.2016 - Autore: Marco Triolo, da Venezia
Un mondo colorato e pop, vivace quanto opprimente e distopico. Questo è lo scenario in cui si svolge The Zero Theorem, il nuovo film di Terry Gilliam. Presentata in concorso alla Mostra di Venezia, la pellicola è interpretata da Christoph Waltz, Mélanie Thierry, David Thewlis e, in ruoli cameo, Matt Damon e Tilda Swinton.

Il regista torna alla fantascienza, genere che ha già visitato a suo modo con I banditi del tempo, Brazil e L'esercito delle 12 scimmie, per raccontare la storia di Qohen Leth (Waltz), impiegato in una bizzarra azienda in cui non si capisce bene cosa si produca, ma qualsiasi cosa sia ha a che fare con fiale colorate e console che sembrano una via di mezzo tra un moderna Playstation e un arcade anni Ottanta. Qohen non ama stare in mezzo alla gente e così chiede al suo capo (Thewlis) di poter lavorare da casa. Il boss dei boss, conosciuto solo col nome di Management (Damon), acconsente, a patto che riesca a risolvere il misterioso Teorema Zero, che ha a che fare addirittura con il senso della vita e l'origine dell'universo. Nel corso di un'avventura che lo porterà a riscoprire le gioie della vita, Qohen trova anche l'amore di una prostituta virtuale (Thierry).

The Zero Theorem sembra una versione pop di Brazil, poiché ci aggiriamo anche qui dalle parti di un futuro distopico controllato dal "Grande Fratello" e sepolto sotto la burocrazia, in cui le persone vivono vite tetre, dominate da lavori alienanti e senza uscita né significato. Però qui si aggiunge un'estetica ancora più kitsch, in cui gli effetti digitali si mescolano a location stranianti per ottenere un effetto da sovraccarico sinaptico, arginato in parte dalla scelta - obbligata da motivi di budget - di ambientare gran parte delle vicende nella casa di Qohen, una sorta di chiesa sconsacrata.

Il film è un continuo salto tra reale (o meglio surreale) e virtuale, onirico. C'è l'ambizione di parlare del presente, della nostra ossessione per i nuovi media e del loro dominio preoccupante nelle nostre vite, che stanno diventando sempre più virtuali e slegate dalla realtà tangibile. Non siamo ancora arrivati a fare sesso nella rete, come accade nel film, ma Gilliam non sbaglia quando prevede che questo potrebbe accadere. La cosa interessante è che gli incontri virtuali tra Qohen e la sua amata Bainsley (Thierry) sono forse gli unici momenti di felicità del protagonista, e quindi il regista è abbastanza intelligente da non puntare il dito contro internet in toto, ma intraprende un discorso più complesso e sfaccettato.

The Zero Theorem, comunque, parla anche di fede, facendone una discreta critica: Qohen è un uomo di fede che ha vissuto una vita insignificante in attesa di un evento che le desse senso. Tutto sommato, dunque, i temi non mancano, eppure il film non colpisce come altre opere di Gilliam. Il finale nichilista, in ogni caso, chiude in modo convincente la pellicola e guadagna punti nel non voler spiegare tutto quanto, lasciando l'interpretazione allo spettatore.

The Zero Theorem è distribuito nei cinema da Minerva Pictures.