Festival di Torino 2013
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Roberto Minervini, il cinema italiano riparte dal Texas

Il cineasta migrante, di Festival in Festival, continua a sorprendere e progetta di tornare entro i confini patri…

Roberto Minervini<br>

28.11.2013 - Autore: Mattia Pasquini
Dopo i plausi del Festival di Cannes, il cineasta migrante conquista anche il Festival di Toronto con 'Stop the Pounding Heart'. In questi giorni ospite del Festival di Torino, l'italiano parla del suo cinema passato, presente e futuro e di un modus operandi fin troppo umano. Un ostacolo per alcune produzioni, ma non per tutte, visto che potremmo ritrovarlo a lavorare in Italia tra non molto...

Tre film, tre modi diversi di approcciare questo stile particolare di documentario-non documentario… che percorso c'e' nel tuo cinema?
Il mio approccio si e' evoluto in questi tre anni e emzzo. E' un modo di fare cinema che ho ri-scoperto durante le riprese del mio primo film. Allora ero partito da un copione quasi completo, che poi avevo gettato dopo la prima settimana di riprese; era un road trip, per cui quel gesto era stato propedeutico a creare un clima di liberta'. Avevo deciso di andare verso le incognite e incominciare a girare i personaggi che trovavo per strada. Nel secondo avevo lavorato con un trattamento che non ho condiviso con nessuno, pero' il film e' piu' lineare e strutturato, anche perche' durante il montaggio e' stato ripulito delle storie 'satellite', diventando forse piu' di fiction, pur non essendolo negli intenti. Stavolta, invece, non avevo neanche un trattamento, giusto qualche nota scritta sull'iPhone. E anche se era la prima volta che lavoravo in digitale, non ho mai rivisto il materiale filmato… un modo piu' consapevole di girare l'incognito se vogliamo…

Un incognita totale, visti anche i personaggi cui ti sei affidato e il fatto di non fare prove..
Di prove non ne ho mai fatte nei tre film, ne' di riprese ne' con i personaggi. In effetti ero disposto a correre il rischio di trovarmi con un pugno mosche in mano, visto che non sapevo dove andassi a parare con la storia; a un certo punto ho temuto che non sarei riuscito a produrre un film che avesse un suo senso compiuto. Ho lavorato nella massima incertezza in effetti, non sapevo nemmeno che la storia avrebbe riguardato una ragazza. Sara la conoscevo da 4 anni, ma solo mentre giravo ho capito che potevo fare una storia su di lei e sul suo rapporto col mondo esterno. La scena finale, per esempio, il monologo della mamma, e' l'ultimo ciak del film. Completamente inaspettato. Ne e' venuta fuori una ripresa di 27 minuti, con 9 di silenzio iniziale, un confessionale che e' una routine loro cui non avevo mai avuto accesso. Senza quella scena sarebbe stato un altro film. Ma io adoro quell'incertezza, e dopo Cannes le mie paure sono aumentate, perche' mi accingo a fare un film ancora piu' incerto, dove conosco altrettanto bene i personaggi ma dove descrivo un ambiente ostile, quello della violenza del machismo del sud, sessista e razzista, un film molto esplicito...



Quello promesso sugli emigrati messicani?
No, quello per ora l'ho messo da parte; ne faro' invece uno sugli uomini del Sud tra la Louisiana e il Texas, un film esplicito con sesso e violenza, che e' poi il loro modo di essere anarchici…

Sempre in stile doc?
Sara' assolutamente documentaristico. Ho persino trovato gente disposta a mettersi a nudo, in questo caso anche in senso letterale, davanti alla macchina da presa, ma l'incertezza e' massima, perche' saranno loro a dettare le condizioni. E' qualcosa che mi piace, malgrado il mio ego, anche perche' mi riduce allo stato di osservatore, di testimone… e' una cosa bellissima.

Dopo sei anni di Texas ed essere andato via dall'Italia per studiare, prima, e poi insegnare cinema, fino nelle Filippine, ora arrivano chiamate dal nostro paese? O il tuo e' un genere che produttivamente fa ancora troppa paura?
Qualcosa e' arrivato, anche qualcosa di molto concreto e da una casa di produzione importante, ma non so se a loro farebbe piacere lo rivelassi, e preferisco glissare. Pero' non sono pronto io; il discorso e' che a monte di questo lavoro c'e' l'intimita' che si crea con la comunita', i luoghi e le persone. E' per me una condizione necessaria per girare. E questa fiducia mutua non si crea durante le riprese, ma molto tempo prima. Non vivendo in Italia ed essendo io interessato a realta' che conosco solo dai giornali, come il villaggio Coppola di Napoli (magari con Maurizio Bravucci, di Gomorra) o la situazione degli immigrati illegali in Puglia, cio' presupporrebbe che io mi trasferissi in Italia per passare del tempo in queste zone. Ma le case di produzione non sono aperte a questo, per loro serve una azione piu' immediata che io non posso fare, anche se mi piacerebbe tornare a lavorare nel nostro Paese.

Anche adesso che tutti sembrano scappare?
E' un momento particolare, come quando c'e' una guerra. Come l'11 settembre… io ero a New York e la prima cosa che feci mentre tutti scappavano e' stata di andare verso il disastro. Mi fermarono, ma ho sempre avuto voglia di fare il giornalista, il fotoreporter di guerra. E se tutti scappano, a me piace invece andare li', dove qualcosa ribolle, dove il vulcano e' in eruzione. Ma forse non e' il momento…

Anche a livello di industria cinematrografica...
Io non avrei bisogno di un produttore, ma piu' di un assistente sociale, che mi coinvolga nelle situaioni piu' difficili. Vedremo. Credo che prima o poi faro' questo film italiano…

A quel punto ci sara' il problema della distribuzione…
Non mi e' mai interessato lavorare nella 'macchina produttiva', troppo stretta gerarchicamente, come fosse il servizio militare, che non ho nemmeno fatto… Io avevo gia' lasciato il cinema, l'avevo studiato, ma vengo da un background piu' sperimentale e avevo iniziato a lavorare nel cinema per una casa di documentari per poi decidere di abbandonarlo per l'insegnamento e il dottorato… Poi ho ripreso a modo mio, sotto le mie strette 'non regole'. Per cui uno dei presupposti e' proprio quello di non preoccuparmi del risultato finale. Vivo l'esperienza, importante, fino in fondo. D'altronde io con questi soggetti non mi fermo al film girato, ma ci vediamo settimanalmente, per prendere un caffe insieme, e parlare della loro fede e del mio ateismo…



Proprio l'aspetto religioso - per tornare al film - e' uno degli elementi che ti ha fatto scegliere la tua direzione… e' stata una benedizione, in qualche maniera...
Se Dio esiste, io l'ho trovato li!

Pensavi di tenere fuori la religione in origine?
No, la religione nel Sud americano e' predominante, anche con le sue contraddizioni. Nel film vediamo anche i Bull Rider che pregano continuamente, anche per divertirsi. Loro vogliono 'pregare e divertirsi', "pray and play", chiedono 'aiutaci a divertirci'. E' li' che stavo trovando le chiavi: la fede e le armi, come estensione del braccio di Dio, che eradicano il male piu' che fare del bene. Qualcosa di perversamente logico che in maniera umilmente rosselliniano cerco di osservare senza giudicare. Se giudicassi, visto anche il mio background antitetico, da ex militante FGCI proveniente da una famiglia di esponenti del Partito Comunista, interferirei e finirei per non farle queste esplorazioni… La fede la cercavo come elemento di studio, un elemento che non mi appartiene ma che volevo esplorare come elemento di questo mondo.

L'abbiamo visto anche in Dallas Buyers Club, i rodei sono quasi un'altra religione vera e propria in Texas?
Sono molto diffusi, non tanto verso Dallas, ma nelle periferie, in un arco di 4 ore di macchina da li'… Troviamo vaccari, bull riding, tanto quanto e' diffuso il football americano. Forse anche per l'aspetto della forza fisica combinato con la fede… Magari avra' anche qualcosa a che vedere con la dieta degli americani del Sud, che son tutti grandi e grossi, forse per il mais geneticamente modificato, e con il culto del superuomo in chiave texana, che a me interessa e che esplorero' ulteriormente non essendo io un superuomo. E' qualcosa che si sposa perfettamente con l'avere fede e il credere in Dio. Mi piaceva il parallelismo tra il cammino di Sara, la retta via, e la posizione retta da tenere sul toro, per non cadere, non farsi male.

Per saperne di piu'
Il trailer del film


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