Festival di Torino 2013
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La mafia uccide solo d'estate – La nostra recensione

Gli anni d'orrore a Palermo raccontati da Pif in maniera sorprendente e toccante

25.11.2013 - Autore: Pierpaolo Festa
La grande scommessa di Pif, quella di realizzare il suo primo lungometraggio da regista e attore protagonista trattando materiale narrativo delicato, dal quale si sarebbe facilmente potuto trarre un gran pasticcio, magari urtando anche la sensibilità di un popolo. Quella scommessa ha invece tutte le carte in regola per essere vinta. Perché, nel raccontare la storia di un ragazzino che cresce nella Palermo degli anni Settanta e Ottanta - raggiungendo la maturità nella decade successiva, travolto dalle stragi di Capaci e Via D'Amelio - l'autore sorprende il suo pubblico: lo spiazza, lo diverte e arriva anche a farlo commuovere.

Ci sono tutti, ma proprio tutti, ne La mafia uccide solo d'estate: buoni, cattivi e corrotti. Attori che interpretano il giudice Chinnici e il Generale Dalla Chiesa, altri che hanno i ruoli di Totò Riina o Leoluca Bagarella. Ci sono politici poco affidabili e figure pubbliche alle quali il regista non esita a puntare contro il dito. Ci sono i veri volti di eroi come Falcone e Borsellino. Pif (vero nome Pierfrancesco Diliberto) tiene il tutto sotto controllo, evitando di strafare. Sin dall'inizio del suo film chiede allo spettatore di fidarsi di lui e dell'unico modo in cui è in grado di raccontare una storia: attraverso il registro della commedia.

E' il caso di ricordare che nel film non si ride mai delle tragedie accadute in Sicilia, né si cerca di sminuire troppo a livello macchiettistico i mafiosi. Questi ultimi sono trattati sempre come uomini spietati, vere e proprie bestie. La commedia scatta grazie al punto di vista ingenuo di un giovane protagonista che rielabora nella sua mente innocente tutti quegli orrori. Una volta superata quella prima tensione provocata dal mettere insieme humour e cronaca, il film non solo è convincente, ma a tratti diventa anche molto toccante, arrivando alla fine sulle sponde della poesia.

Perché La mafia uccide solo d'estate rappresenta un taglio nuovo sui soliti temi a cui un regista mira quando si parla della Sicilia e dell'Italia di quegli anni. Pif ci prova e ci riesce. Il giornalista e il comico si fondono: il suo primo viaggio cinematografico è un'esplorazione emotiva, un percorso di formazione il cui punto cruciale è la presa di coscienza scaturita dall'orrore del posto in cui si vive. Perché quegli anni a Palermo erano proprio così. Ci si emoziona quando il regista - fondendo materiale d'archivio e nuove riprese "truccate" come se fossero vere - ricorda la folla di palermitani pronti a entrare in cattedrale ma bloccati dalla polizia durante i funerali di Borsellino. Sullo schermo vediamo un popolo che vuole riprendersi la sua città. Il suo momento più potente di massimo risveglio, quello che portò a dei risultati concreti prima del periodo della grande anestesia di una nazione.

Vengono in mente Forrest Gump e l'ultimo cinema di Benigni: Pif guarda di più al primo, basando il tutto sulla troppa ingenuità del suo personaggio. La sua prova è simpatica, sincera e spiazzante. Dalla commedia il regista è in grado di snodare anche il dramma. Talvolta punta al bersaglio più facile (si veda il finale), ma riesce comunque a realizzare un film memorabile. Coraggio, humour e voglia di indagare su quel momento storico, tirando fuori una nuova interessante prospettiva. La mafia uccide solo d'estate ha tutte queste qualità.

La mafia uccide solo d'estate, in concorso al Torino Film Festival, arriverà nelle sale dal 28 novembre. E' distribuito da 01 distribution.

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