Festival di Roma 2013
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I corpi estranei – La nostra recensione

Filippo Timi nei panni di un padre razzista alla scoperta del diverso

I corpi estranei

12.11.2013 - Autore: Marco Triolo
I corpi estranei è un titolo scelto con cura. Nel film di Mirko Locatelli, in concorso al Festival di Roma, assume un doppio significato: da una parte, il cancro che sta divorando il figlio piccolo del protagonista Pietro (Filippo Timi). Dall'altra, la famiglia di immigrati arabi che assiste un figlio malato nella stanza di fronte a quella del bambino.
 
Nonostante il doppio senso, però, I corpi estranei è un film a senso unico, cioè è completamente assorbito dal tema del razzismo e usa quello della malattia solo come pretesto per mettere sullo stesso piano emotivo e nello stesso luogo fisico Pietro e il giovane Jaber (Jaouher Brahim), amico del ragazzo malato, e far partire così l'intreccio.
 
Pian piano che ci avventuriamo nella psicologia di Pietro, scopriamo che quella che dimostra all'inizio nei confronti dei vicini di stanza non è solamente quella blanda diffidenza dettata dall'ignoranza che generalmente si attribuisce all'italiano medio (o mediocre). È proprio razzismo, odio per il diverso, incapacità di vederlo come un uomo. La diffidenza è solo un sintomo di un male più grande e pericoloso, legato a un'aggressività e a una supponenza che sfiora il bullismo. Quello che a Locatelli riesce bene è il raccontare questo avvicinamento tra diversità, che da forzata convivenza diventa accettazione e, forse, compassione. Altrettanto convincente l'idea di non sciogliere del tutto le riserve di Pietro: in un film americano avremmo visto una conversione ben più didascalica alla retta via, come ad esempio in Dallas Buyers Club (qui la recensione), film che abbiamo visto pochi giorni fa al Festival, in cui l'omofobo protagonista interpretato da Matthew McConaughey arriva, in una scena chiave, a difendere a spada tratta il suo socio, il travestito interpretato da Jared Leto. Qui, al contrario, è tutto molto più sottile e reale, perché è impossibile che in pochi giorni un fascista diventi una persona tollerante.
 
Quello che invece non riesce al regista è tutto il contorno. Il tema è centrato e ben delineato, ma è affogato in un mare di scenette di raccordo inutili - Pietro che gioca col figlio, Pietro che si prende un caffè, Pietro che scarica casse al mercato - che sembrano messe lì solamente per raggiungere una durata da lungometraggio. Locatelli non si rende conto che per fare un film, non un corto o un medio, c'è bisogno di molta più carne al fuoco. Avrebbe potuto sfruttare meglio la sottotrama di Pietro che fa dei lavoretti al vicino mercato per guadagnare due soldi. Avrebbe potuto inserire la storia in un contesto più ampio, dando al protagonista più chance di entrare in contatto con culture diverse. Avrebbe potuto, ma non l'ha fatto, e un potenziale buon film rimane così a un livello medio che lascia abbastanza l'amaro in bocca.

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