

ATM - Trappola Mortale

Tre colleghi nottetempo fanno visita a un bancomat, ma finiscono a dover lottare per sopravvivere dopo essere rimasti intrappolati nello sportello bancomat mentre fuori dalla porta di vetro li attende un misterioso assassino.

Possiamo parlare ufficialmente di trend. Dopo “Buried – Sepolto” e “Frozen”,
in meno di due anni siamo arrivati a un altro film che ripropone la
sempreverde unità di spazio e tempo tanto cara ad Aristotele, e si crea
una schema evidente: a Hollywood queste storie piacciono, perché costano
poco e si fanno con attori poco famosi perché tanto a contare è l'high
concept. Piatto ricco, mi ci ficco.
Ed ecco che arriva nelle sale “ATM – Trappola mortale”, che unisce alle caratteristiche sopra elencate il gusto per i giochi sadici che ha fatto la fortuna della serie “Saw”. Il film, diretto da David Brooks a partire da uno script di Chris Sparling (che guarda caso ha scritto proprio “Buried”), vede tre trentenni (Brian Geraghty, Josh Peck e la rising star Alice Eve),
in fuga dal party natalizio aziendale, rimanere imprigionati nella
cabina del bancomat, dove cadono vittime dell'elaborato piano di uno
psicopatico col volto coperto dal cappuccio, che si diverte a vederli
tentare la fuga invano. A un certo punto, come se il parallelo tra il
pazzo e il pubblico in sala non fosse già abbastanza evidente, l'uomo si
procura un seggiolino e assiste alla mattanza comodamente seduto.
Ma tra i pregi di “ATM” non vi è certamente la sottigliezza, né l'originalità. Il film è un thriller puro e semplice, che mette al centro tre personaggi già collaudati e scritti in modo da funzionare nel milieu del genere, senza approfondimenti inutili. Le prove che sono costretti a
superare, le trovate per battere in astuzia l'insondabile avversario,
sono sufficienti per mantenere la tensione a un livello tollerabile, e
di buono c'è anche la volontà di non svelare mai identità e motivazioni
del cattivo. Non manca una sorta di twist ending, che risulta più beffardo che sconvolgente.
Il tutto, però, basta solo per una serata tra amici: il film è più adatto al noleggio che alle sale ed è decisamente troppo generico per rimanere impresso nella memoria.
I dialoghi rasentano alle volte il comico involontario (“Chi è quel
tizio?”, “Non lo so, vorrà fare il bancomat”, “Ma dov'è la sua carta?”) e
tutto puzza di già visto lontano un miglio. Ma il vero problema sono
certe lungaggini espressive che, ne siamo sicuri, l'esordiente Brooks
saprà levigare la prossima volta. Ci sono troppi finali e il tutto si
sarebbe potuto tranquillamente snellire di diversi minuti. Un po' poco,
se l'intenzione era quella di lanciare un nuovo franchise.
di Marco Triolo