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La guerra di Redford

"Lions for Lambs", in anteprima a Roma, rispecchia in piena coerenza la costante ed intramontabile voglia di impegno civile e politico portata avanti da ormai più di trent'anni dal regista Robert Redford

Lions for Lambs

23.10.2007 - Autore: Adriano Ercolani
La battaglia più importante per la democrazia americana, anzi l’unica possibile e la sola che andrebbe concessa, si deve combattere dentro una stanza, e non sulle montagne dell’Afghanistan; si deve combattere attraverso la possibilità di insegnamento alle generazione future, ricordando loro che la presenza e l’impegno attivo nel mondo in cui vivono e vivranno è l’anima della politica stessa. Ma si deve combattere anche nel presente, in favore di un informazione libera e non soggiogata (o spaventata) dagli interessi economici e politi di chi governa.

Questa è la tesi che sposa con successo “Lions for Lambs”, il nuovo film di Robert Redford presentato in anteprima europea alla Festa del cinema di Roma. Un’opera molto diversa da quelle precedenti del regista, ma che ne rispecchia in piena coerenza la costante ed intramontabile voglia di impegno civile e politico portata avanti da ormai più di trent’anni; la forma non è quella intimista di “Gente comune” (Ordinary People, 1980) o elegiaca di “In mezzo scorre il fiume” (A River Runs Through It, 1992): questa volta Redford costruisce una specie di thriller disposto la dibattito, in cui affronta i temi sopra indicati inserendoli in tre distinti contesti. Un’operazione che non sfugge ad un certo schematismo di fondo, ma che ha l’indubbio pregio di esplicitare con forza le proprie ipotesi e di dotare loro di una forza di penetrazione chiara e ben distinguibile: il messaggio della pellicola è il motivo primario dell’operazione, e non la presenza delle star che vi hanno partecipato.

Sotto questo punto di vista i tre grandi protagonisti danno prova di aver recepito alla perfezione l’idea alla base dell’operazione, annullandosi con grande professionalità come star per calarsi nei rispettivi ruoli. Soprattutto il duetto tra Tom Cruise e Meryl Streep rimane allora scolpito nella nostra memoria come una gara di bravura difficilmente sottovalutabile – e che siamo sicuri i premi più prestigiosi non dimenticheranno.

Se molti dei suoi illustri colleghi hanno dato prova proprio qui a Roma di aver in un ceto qual modo segnato il passo – vedi i film discontinui, abbastanza deludenti di Coppola e Lumet -, Robert Redford dimostra con “Lions for Lambs” una lucidità invidiabile, sicuramente superiore alle sue ultime prove come regista. Quest’opera che vuole, come bisogno fondamentale, far prendere coscienza il pubblico di cosa sia realmente ed eticamente combattere e difendere l’idea di democrazia, colpisce per la lucidità e la stringatezza dell’esposizione. Non un lavoro di cesello, che mira alla raffinatezza o ai sottotesti, ma un racconto perfettamente ritmato che non lascia nulla all’immaginazione, fornendo al tempo stesso materia per importante dibattito e valevole spettacolo cinematografico.
Da un’operazione così rischiosa Redford ne è uscito sicuramente bene, e per questo va ancora una volta ammirato.